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Trilogia d’Europa



A fine luglio è uscito per la casa editrice milanese La Vita Felice il terzo e ultimo volume di ciò che possiamo definire una trilogia europea. Un lavoro ambizioso e ben riuscito che pone l'Europa al centro di un progetto culturale che attinge "forza dalla bellezza che la poesia può trasmettere".



Il progetto è iniziato nel 2013 con il volume Tempi d'Europa, di cui abbiamo parlato in un post del 18 settembre 2013. In questo primo volume è la poetessa Johanna Venho a dare voce alla Finlandia con "Canto della filatura" (Kehrulaulu) nella traduzione di Antonio Parente.



Nel 2014 è uscito il secondo volume dal titolo AAA Europa cercasi : le tre A si riferiscono anche alla suddivisione dei temi delle poesie contenute nell'antologia: Alberi, Animali, Amore. In questo secondo volume la Finlandia è rappresentata da una poesia di Aino Suhola nella traduzione di Hanna Suni.



Come nel volume precedente "i testi sono in lingua originale preceduti da traduzioni d’autore ed uno degli aspetti più interessanti è non solo l’alta qualità dei testi, frutto del genio creativo di autori universalmente riconosciuti e di altri che meritano di essere letti, ma anche la provenienza di alcuni di essi da ambiti linguistici che comunemente si definiscono “dialetti”, ma che, a ragione, nel volume assumono lo status di lingue per niente subalterne rispetto alle cosiddette lingue nazionali".



L'antologia che chiude il "trittico" si intitola Luoghi d'Europa. Lascio la descrizione del volume alla nota dei due curatori, Lino Angiuli e Diana Battaggia:



[...] I protagonisti di questa azione antologica, infatti, invitati a “cantare” un luogo d’Europa per loro importante o significativo, sono stati intrinsecamente chiamati a scambiarsi ispirazioni e aspirazioni, sogni e segni per un comune disegno che chiamiamo “utopico”, senza con questo voler dire “astratto” o “irreale”.



L’antologia è divisa in due sezioni: la prima, affidata a voci femminili, è dedicata alla visitazione delle identità originarie, sancita dal legame tra “terramadre” e “madrelingua”; la seconda sperimenta invece, in forme diverse, l’irresistibile fascino dell’alterità e dell’incrocio. Qui troviamo delle poetesse devote all’orizzonte geoculturale primario cui attingono per alimentare la vocazione poetica: dalla loro voce “stanziale” è possibile ascoltare l’elogio delle cosiddette radici, la declinazione del genius loci, la simbolizzazione di un luogo dell’anima che si spec-chia e riconosce in un luogo fisico ben preciso.



La seconda sezione, invece, volutamente più voluminosa, grazie a una serie di cambi e scambi mette in scena una sorta di virtuosa Babilonia, il cui motivo ispiratore è il desiderio di sconfinamento come pratica del dono e come spinta a mettersi nei panni culturali altrui, a cominciare da quelli simbolici e linguistici.



Alcuni testi, peraltro, sono stati accolti in tutta la loro naiveté, grazie al generoso tentativo dei loro autori (spontaneamente dichiaratisi “non poeti”) di salvare dall’oblio la lingua di cui sono portatori, parlata solo da qualche migliaio o centinaio di soggetti: a tal fine, essi hanno chiesto una mano alla scrittura letteraria. Siamo certi che la poesia è ben lieta di servire non se stessa ma una causa nobile qual è quella che vuole guardare indietro e avanti, per un futuro comune da costruire con mezzi creativi sotto i cieli d’Europa.